…ovvero, come Michele Corella è assurto al ruolo di protagonista di un romanzo?

Ci sono stati precedenti, come è naturale, altre ‘incarnazioni’ più o meno documentate, che nel tempo hanno vissuto la loro vita di carta e pixel, evolvendosi fino a dare forma e vita al nostro eroe (…)

Primo fra tutti, il Michele Corella-vampiro che animava le notti del Castello della principessa Danae, ai tempi d’oro dell’indimenticato portale Cainiti….

Al seguito di un non meno affascinante ed immortale Cesare Borgia, membro di una Corte di personaggi tanto variegata quanto intrigante, ha fatto palpitare (virtualmente) più di un cuore, e di certo ha spinto alcuni di noi ad approfondire l’interesse per la storia dei Borgia e per la figura del sicario Micheletto, il più delle volte trascurata.

Ecco un breve estratto ‘riesumato’ dalle cronache del Castello:

E’seduto (Corella) sul davanzale, la schiena appoggiata agli infissi.
Il torso nudo riverbera d’argento alla luce del crepuscolo, mentre i capelli, un groviglio di oscurità, sembrano presagire le ombre della notte.

Un sorriso storto gli attraversa il volto quando i suoi occhi color ardesia incontrano l’ambra di quelli di Giuliano. Restano allacciati per un istante, quelle due paia d’occhi, e poi scivolano oltre, gli uni a spiare il lento oscillare delle cime svettanti dei pioppi, neri contro il cielo violetto, gli altri ad inseguire le ombre del giardino, rapiti da visioni che il tempo, pur affievolendo, non cancella.
Come falchi scuri quelli di Michele percorrono l’etere, ali distese, taglienti, che fendono le nuvole spaccandole in filamenti fumosi, tendendo all’azzurro che stinge e svanisce nell’ombra. Come a inseguire il proprio sguardo, Corella si alza dal davanzale, il corpo teso, la pelle baluginante sulle osse in rilievo del torace.
Da qualche parte, nel palazzo, qualcuno sta suonando.
Da qualche parte, nelle ombre, un violino sta gemendo.
Sorride Corella, porgendo orecchio alla musica lontana, attutita da camere, corridoi, sale vetuste e da anni disertate. Alza lo sguardo il De Medici, e lo lascia scivolare cupo sulle finestre cieche che si aprono sul giardino silente.
Di nuovo le mani bianche si posano sui rovi, mietendo la loro messe di rose sanguinanti.

Perfino i corvi appollaiati sui cornicioni e i comignoli, sulle alte inferriate e i cancelli arrugginiti, nel fitto del bosco oscuro, da cui occhieggiano come guardiani pazienti, sembrano porsi un ascolto, cessando il loro occasionale gracchiare, immobili come viventi gargoyles.
La musica ascende in lente volute, lieve, quasi timorosa a svelarsi, come un fiore appena schiuso, che non può fare a meno di inebriare la valle col suo profumo, senza volere.
Corella si arrampica sul tetto e ci si appollaia, tra i corvi, appiattito sotto il cielo che sembra schiacciarlo come una lapide di pietra. Lentamente inizia a muoversi sui lastroni di ardesia, richiamato dalla musica, i piedi nudi rapidi e leggeri, procedendo a tratti in piedi, a tratti chino in avanti…